Fiori
La vita che vince. 14 storie di figli
Il libro Fiori di Enzo Cei è stato realizzato con la collaborazione del dottor Ugo Pastorino dell'Istituto Nazionale dei Tumori e finanziato da l'Associazione Bianca Garavaglia ONLUS di Milano.
115 fotografie scattate dall’autore, con la sensibilità che gli è propria, per documentare la malattia oncologica infantile ritratta nella quotidianità della vita familiare. Senza pietismi né clamori.
L'opera mira a sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dell'oncologia pediatrica per reperire i fondi necessari all’assistenza delle famiglie dei bambini malati e sostenere la ricerca medico-scientifica.
Quei fiori del settimo piano
«Scusate, vorrei fare una foto a quel ragazzo davanti alla basilica, si chiama Antonio ed è un ragazzo speciale; senza il suo berretto capirete». In una Piazza San Pietro parcheggiata di pullman, perché oggi dev'essere proprio un giorno speciale, le guardie ci aprono le transenne e io posso fare la fotografia. Erano due ragazzi del sud.
Quante transenne si sono aperte in tanti mesi, quanti usci da bussare con storie anch'esse tutte da aprire e da accogliere. La dottoressa Massimino anticipa la mia visita, la Massimino, primario dell'Oncologia Pediatrica dell'Istituto Tumori milanese, che di quel settimo piano è anche il giardino di cura per tanti fiori accolti come primavera, tutti figli suoi.
Saranno quattordici storie di famiglia, quattordici percorsi di vita ripresi in punta di piede per essere accolti dal bianco di una pagina. Dall'angolo di un'attesa che non conosce riparo, mi faccio forte di una trasparenza molto attiva, il minimo per meritarmi il diritto di essere lì, e lì stare bene dalla loro parte. E allora provo a seguirli nei loro sentieri, senza recapito né traguardo; così, mi inoltro tastando orma per orma, passo dopo passo, perché lì non trovi strade, solo scie nel mare.
I piccoli mi hanno accolto con punte di silenzi, un tacere bucato da fili di occhi, occhi che abitano soltanto dietro quelle porte. I più grandi il loro cancro me l'hanno messo in faccia, armati di corazza e senza pudori, «per consegnare alla morte una goccia di splendore», scrive Gabriele stringendo una spada che irradia la luce siderale dell'immaginario; reale è solo il monitor, con dentro la TAC di un cranio, e la sua felpa nera dice Star wars.
Gabriele è stato nel suo grande sogno: una associazione che realizza i desideri dei bambini che soffrono lo ha fatto volare a Tokyo, lui e famiglia. Al ritorno mi dice: «Là mi ha colpito il rispetto che le persone hanno per le persone».
Con Susanna una sera andrò in discoteca a cercare una fotografia, e in quello stordimento la ritrarrò di una energia insospettata, di quella che trovi solo in chi ha saputo la tenebra e il suo viaggio di ritorno.
Sull'uscio di casa, già con la valigia in mano, la mamma di Isa mi porge le parole umide degli occhi, «Non ci dimenticare, non dimenticare perché lei le cose l'ha raccontate solo a te».
Ancora seduta sulle ruote, tempo fa Federica ha scelto la nuova casa, e l'ha scelta con le scale. Pian pianino, oggi va su quei gradini sempre più, con Chanel che la segue sulle sue zampette: guai a chi gliela tocca.
Per la Massimino, Filippo è il tipetto; da strizzare, dice; poi lo incontri e lo vedi proprio così, e quando nel parco ti dà la manina ti accorgi che potrebbe accompagnarti in capo al mondo, senza perché.
Virginia una volta è stata qui dove scrivo, coi genitori e i quattro fratellini. Una volta da ricordare, come a casa loro, quando prima di dormire parliamo dal suo letto a castello, all'altezza dei suoi occhi, se all'altezza dei suoi occhi si può essere.
E da Hiba, di pochi anni, troverò il cuscus in tavola come vuole la loro tradizione. Farfallina, per la sua mamma, quella che un niente le basta a sprizzare tutta la sua gioia contagiosa.
Pietro ha due maestre elementari solo per lui, poi, liberato dai libri, lo riconosci nel suo stato brado, a cavalcioni di una metoretta su e giù per la collina davanti casa, sempre scortato da due cani, cuccioli terremoti come lui. Dopo, il latte appena munto, va dalle sue mani alla bocca del vitellino che ha già le sue piccole corna; presto noi lo vedremo grande e robusto a pascolare i suoi giorni sul pendio della collina, davanti alla faccia di casa.
«Ma che fai, vai via cosi?».
Antonio me lo dice che ho già le borse in mano, e quell'abbraccio era già pronto per lui.
A tutti voi, figli che un giorno la vita ha voluto guerrieri di scudo e di spada, dedico queste pagine di nero e colore. E nel vostro spazio abitato di fiori di quel settimo piano, un giorno sarete donne e sarete uomini, poi è qui che di voi ci sarà bisogno.
Enzo Cei
In punta di piedi
C’è qualcosa di magico nell’arte di raccontare la sofferenza umana con leggerezza, attraverso l’immagine sospesa di un attimo infinito.
Enzo Cei ci prende per mano e ci porta nel mondo di questi piccoli pazienti, quasi volesse aiutarci ad allontanare la paura del male.
Un male di cui resta sui loro volti, come nei gesti, la traccia indelebile lasciata dalle cure, a volte un segno fisico che ha modificato profondamente la forma del corpo, a volte un’espressione, un fremito che svela l’emozione interiore.
Lo sguardo che apre ogni racconto è al contempo una sfida ed un invito ad entrare, in un mondo segreto, pieno di ansie, dolori, speranze, affetti. Sono tutti belli questi occhi, che ci parlano in modo chiaro e diretto, senza inutili mediazioni, e vanno dritti al cuore.
Caro Enzo, ce n’è voluto di coraggio per entrare in queste case come un ospite inatteso, in punta di piedi, ed uscirne carico di confidenze e ricordi da dividere con noi. Ma ne valeva la pena, perché il risultato è un piccolo capolavoro di stile e di poesia.
La vita emerge prepotente da queste storie, come un diritto che non può essere negato, da conquistare con coraggio e ostinazione, giorno dopo giorno.
Fiori è un nuovo capitolo nel percorso di Arte in Reparto, il progetto che esplora la complessa relazione tra medicina ed arte, e la possibilità di umanizzare i luoghi di cura con il lavoro originale degli artisti.
L’opportunità, o almeno la speranza, di poter alleviare il dolore di chi vive una malattia così dura rappresenta un’entusiasmante avventura umana, per ogni medico che abbia scelto di essere anche un compagno di strada.
Ugo Pastorino
Associazione Bianca Garavaglia
Quando la dott.ssa Maura Massimino e il dott. Ugo Pastorino ci hanno proposto di collaborare alla preparazione di questo libro, la prima domanda che ci siamo posti è stata. “ma perche?, noi di ABG impegnati da 25 anni nella lotta contro i tumori infantili, dobbiamo realizzare un libro di fotografie?”
Dopo aver consultato il nostro Consiglio direttivo, dopo aver sentito le mamme dei bambini coinvolti a donare la loro immagine e la loro storia al fotografo Enzo Cei, e dopo aver visionato le precedenti pubblicazioni fotografiche medico scientifiche su altre patologie tumorali e soprattutto su altre storie pubblicate con la supervisione del dott. Ugo Pastorino, ci siamo detti: ”Ma perché no?”…Anche noi possiamo dare una testimonianza dalla doppia valenza: “fare una cosa bella e donare una speranza…”
Sì perché, quando 26 anni fa ci siamo imbarcati in questa avventura ed abbiamo fondato l’Associazione Bianca Garavaglia, i bambini che sopravvivevano a un tumore erano il 25%; ora, grazie alla ricerca, agli studi e alla dedizione di medici e ricercatori meravigliosi, questa percentuale è salita al 70%.
Di questo noi di ABG, ci sentiamo in parte “responsabili”, insieme a coloro che hanno contribuito a dare una speranza in più ai bambini ammalati di tumore.
L’Associazione Bianca Garavaglia nasce infatti nel 1987, promossa da Carlo e Franca Garavaglia, genitori di Bianca, dopo una storia devastante, non unica, ma condivisa da tutti i genitori che per quel male, allora “incurabile”hanno perso il loro bambini, hanno pensato di dedicare la loro esperienza di vita e il loro tempo a raccogliere fondi per finanziare la ricerca scientifica e lo studio su questi tumori cosiddetti “rari”, perché così erano considerati i tumori che colpivano i bambini. Proprio per questa peculiare “rarità” rispetto ai tumori endemici dell’adulto, venivano lasciati un pò a se stessi; la ricerca non li prendeva abbastanza in considerazione e le case farmaceutiche non investivano capitali per studiare patologie così “rare” Usiamo così spesso il termine “raro” perché, nonostante tutto, anche se raro, un cancro che colpisce un piccolo uomo, è comunque più devastante di una patologia simile che colpisce chi dalla vita ha già avuto almeno una chance…
Abbiamo conosciuto Enzo Cei, il poeta con la macchina al collo, la sua indiscutibile professionalità e la sua motivata sensibilità, e non abbiamo avuto dubbi: le storie da lui narrate saranno un esempio, un monito, un incoraggiamento a lottare contro il tumore infantile. Saranno una testimonianza che, oltre alla vita di tutti i giorni, c’è una realtà che bisogna conoscere, su cui bisogna riflettere per dare più senso alla vera vita.
Grazie Enzo.