L’opera di Ettore Spalletti reinterpreta nel 1996 l’obitorio dell’ospedale Raymond Poincaré a Garches - alle porte di Parigi- offrendo all’ultimo saluto un ambiente intimo e privo di simboli religiosi.
Nella “Salle des départs” non vi sono opere da contemplare, il limite che separa l’opera dallo spettatore è evaporato, non è più percepibile, i confini dell’ambiente sembrano dilatarsi, le pareti sprofondare.
Gli oggetti nell’ambiente assumono una forza plastica e si svincolano materialmente dalla parete, ma continuano a costituire una parte di un tutto omogeneo, unitario ed indivisibile.
Si tratta di un percorso segnato dalla variazione del colore - dal verde dei prati sino al blu del cielo.
Il colore atmosferico in cui tutto l’ambiente è immerso crea una dimensione tersa e rarefatta che avvolge, in un’atmosfera silenziosa, quasi sospesa, il visitatore.
Le stanze sono quattro, si susseguono costruendo un percorso graduale di colore che congiunge naturalmente, in modo non retorico vuotamente consolatorio, la vita e la morte.
In un primo tempo, Spalletti non ha voluto vedere l’obitorio (cento metri quadri), ma ha lavorato sulle piante.
Racconta l’artista
“La prima volta che incontrai i medici, all’Ospedale di Garches, non volli vedere lo spazio, non volli visitare la stanza di veglia, né altri luoghi di cui mi avevano parlato proponendomi il progetto. La mia intenzione era quella di formulare un progetto ideale, all’interno del quale si muovessero senza vincoli, sia il mio lavoro, sia le esigenze dei medici con i quali esso si andava a incontrare.”
La sua opera è stata immaginata pensando non solo ai defunti, ma anche al personale che prepara i morti e accoglie le famiglie.
All’ingresso, dal pavimento al soffitto, c’è una serie di quadri monocromatici di un blu sfumato.
Nella sala d’attesa, il blu tende al verde, mentre nella “salle des départs” domina l’azzurro, il colore “atmosferico, pensoso”, dice Spalletti.
Nell’“anfiteatro della morte”, come lo chiamano i responsabili del progetto, quattro pannelli rosa (“colore dell’incarnazione”) sono attaccati ai muri, ci sono tre catafalchi e al centro una fontana con una vasca di marmo bianco, che ospita due casette sommerse nell’acqua e tenute sul fondo da tre aste.
Tutte le asperità, come gli zoccoli o i rivestimenti delle porte, sono state smorzate, dice Le Monde, “per accentuare la purezza delle forme e lasciar vivere il colore”.
Le Monde l’ha definita “una delle più belle commesse affidate a un artista”; mentre i responsabili dell’ospedale dicono: “Solo un artista poteva umanizzare questo luogo e rispondere alle domande sulla vita e sulla morte”.
Dalla prima sala, quella di attesa, con un affresco raffigurante Vasi e un tavolo con sedie, si passa alla sala di riconoscimento dei bambini. Attraversando la sala per il riconoscimento degli adulti, si arriva all’azzurro del cielo della sala delle partenze, il nostro obitorio, in cui solo il suono del ribollire leggerissimo dell'acqua in un vaso abbraccia i visitatori del defunto. Qui lo spazio si dilata e lo sguardo incontra tre panche coperte da lastre di marmo bianco, lì per sollevare da terra le bare, disposte al di sotto di tre archi a tutto sesto dietro ai quali si aprono tre piccole absidi. Blu è il pavimento, blu e azzurre le pareti, ancora blu il soffitto: un blu brillante e denso che trova ispirazione nella luce, nell’atmosfera, nel colore dei templi greci, o nel manto nella Madonna di un affresco quattrocentesco.
Oltre agli arredi funzionali, in quest’ultima stanza, si trovano un quadro alla parete, un vaso bianco con acqua, in cui è sommerso un piccolo paesaggio con due casette e a terra un intarsio in marmo nero del Belgio con la proiezione bidimensionale di Disegno. La fontana, i quadri, le forme che si incontrano nel luogo “sono, non tanto immagini simboliche quanto - afferma l’artista - immagini nel luogo. Lo strato polveroso in cui sono immersi struttura gli oggetti in volumi di colore, ammorbidisce la durezza dei profili per fonderli con l’ambiente circostante.”
L’acqua usata da Spalletti con la medesima attenzione del colore, partecipa a creare una dimensione più astratta che reale, dove memoria e oblio si intrecciano in un’esperienza intima e al contempo collettiva.
Qualsiasi carattere trascendente che l’opera contiene, proviene dalla manipolazione di elementi che appartengono in pieno all’esperienza; l’artista parla non di apertura metafisica ma del sedimentarsi del pigmento, dello strato di colore che si stende, asciuga, ispessisce, e riposa.”
Il Progetto
La realizzazione del progetto è stata opera della Fondation de France, che ha colto l’importanza del “mediatore culturale” identificato nell’artista, finalmente libero di esprimersi aldilà degli spazi tradizionali.
L’operazione coinvolge tre attori: l’artista, il cittadino “committente” e il mediatore culturale delegato direttamente dalla Fondantion de France.
All’ospedale Raymond Poincaré di Garches i dottori Françoise Quesada, François Paraire e il professor Michel Durigon colgono l’occasione nel 1996 quando l’obitorio doveva trovare una nuova collocazione all’interno del complesso ospedaliero. Chiamano così all’appello l’artista Ettore Spalletti per concepire un luogo più umano, uno spazio di pace e meditazione come luogo di raccoglimento intorno al defunto.
Il progetto inizialmente ha urtato la sensibilità del sindacato dell’ospedale che trova ingiusto spendere dei soldi per i morti e non per i malati.
Ma la spiegazione degli intenti dell’opera ha permesso al personale di comprendere l’iniziativa tanto da renderla propria: una ampia riflessione sull'accoglienza dei morti e delle loro famiglie in tutti gli edifici ospedalieri de l’Assistance Publique-Hôpitaux di Paris.
Ettore Spalletti è nato a Cappelle sul Tavo (Pescara) nel 1940. Vive e lavora a Cappelle sul Tavo.
Bibliografia
Ettore Spalletti, Salle des départs, Edizioni Galleria Massimo Minini, Brescia 1997, p. 76
Ettore Spalletti, ibid
Paola Mortirolo, art à guerir